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Žodžiai dainai: Ianva. L'Occidente. L'occidente.


Come genti del Nord dai barbarici Numi
Che scambiarono per Roma i marmi di Luni,
O gli Altaici dell?Est errabondi e ferini
Fondatori d?imperi per pascolarvi ronzini.
O i predoni del Sud, autoeletti Signori
Inventandosi un dio da servi-pastori,
Abbiamo stomaci esausti, ma appetiti da iene,
Tutti incontro alla sera che viene?

Dove va a cadere il sole, sepolcreto di tramonti:
Quando s?alza il fortunale, si sa, chi avanza
Per primo affondera.

Deleghiamo ogni cosa, anche l?esser violenti,
Ma la guerra dei ventri ci scopre impotenti.
Sempre sotto tutela di un corretto pensare
Che ci castra quel tanto da tirare a campare
Dentro a questo circuito senza ieri o domani,
Per leccar quattro ossa come s?addice ai cani:
Non ho piu alcuna voglia di fare il possibilista,
Guardo solo la notte che e in vista?

Dove va a morire il sole, l?orizzonte inghiotte i giorni,
La stagione del Maestrale, lo sai, dispero che torni.
Dove va a sfinirsi il vento, l?orizzonte incontra l?onda,
Sono oltre al mare aperto e piu in la, ma non vi e sponda?

Tra Vladivostok, la propaggine estrema
E le Orcadi che sono d?Occaso il diadema,
Suggestivo, lo so, ma a che pro ci si crede,
Se il tenerci alla pelle resta l?unica fede?
Ci ostiniamo a pensarci quali punti d?arrivo,
Ma il piu morto di ?loro? e pur sempre piu vivo
Di chi ormai ha di sacro giusto un osso sul culo
E d?un tratto la notte e gia un muro!

Muro che non sente pianti, muro che recinge il niente:
Solo un punto cardinale e nulla piu quest?Occidente.
E se il sole vi si spegne, e se ora e giunto il tempo,
Quella fiaccola di Atene che tu sai, difendila dal vento
Che verra?

(Grazie a Dario per questo testo)